Bisogna avere una routine se uno non vuole impazzire. Io in agosto alle due del pomeriggio mi mangio le frizzine seduto al tavolo della cucina col sudore che mi cola dalle ascelle. Si chiamano Frizzy Candy, ma io le ho sempre chiamate frizzine e il tabaccaio che me le vende capisce. Alle 14:00 in qualunque posto del trilocale mi trovi, in camera o in bagno o in soggiorno, vado in cucina, apro il secondo cassetto, quello tra il primo cassetto e il terzo cassetto più grande dove stanno le padelle, e tiro fuori una bustina di frizzine, mi metto seduto sulla sedia con lo schienale appoggiato al muro, il gomito destro sul tavolo di formica e a sinistra la portafinestra aperta con la tapparella alzata a metà per far entrare un po’ di aria senza lasciar passare il calore del sole.
Quando sono comodo strappo il bordo della bustina gialla, apro la bocca e mi verso i granelli sulla lingua, serro la bocca e gli occhi e i granelli iniziano a scoppiettare sul palato mentre le papille gustative mi friggono. Adoro il sapore dell’acido citrico nel primo pomeriggio. Fuori la settimana più calda dell’anno, il parcheggio del palazzo vuoto e l’asfalto che respira.
«Ti devi creare una routine», ha detto il dottor Canardi. «Io torno a settembre, ci vediamo il sette».
Mancano solo ventiquattro giorni.
Il dottor Canardi l’ho conosciuto grazie a Carla, non è perché me lo ha presentato, ma un giorno è andata via di casa e così mentre la cercavo per le scale di tutto il palazzo incontrai lui che mi disse di potermi aiutare a capire che cosa dovevo fare. Un giorno nel suo studio mi aveva detto che tanto per cominciare quella parte di armadio vuota la potevo tranquillamente lasciare così, non c’era bisogno di riempirla. Poi mi aveva detto che le fette biscottate al malto che lei mangiava tutte le mattine le potevo buttare, tanto a me facevano schifo e non c’era bisogno di tenere lo scaffale occupato per niente. Dopo aver parlato con lui sono stato meglio, così ci sono tornato sempre, fino ad agosto, quando il dottor Canardi è andato in vacanza a fare un tour dei castelli della Loira con sua moglie.
Ma non mi ha abbandonato, mi ha lasciato dei compiti da svolgere e mi ha dato questo consiglio della routine. Io ce l’avevo anche prima la routine, ma lui ha detto che per agosto bisogna prevedere delle variazioni perché c’è pure della gente che va in vacanza e io mi devo adattare.
«Il fattore più importante nella sopravvivenza non è né l’intelligenza né la forza, ma l’adattabilità» mi ha detto Canardi il giorno che l’ho fermato mentre usciva dal cancello di casa per andare all’aeroporto. «Lo dice Darwin e vale per tutti gli animali, anche per l’uomo».
Così mi sono adattato ai 90 metri quadrati di casa senza Carla, alla camminata per andare verso l’ufficio di Canardi, poi all’assenza di Canardi in agosto e anche all’acido citrico alle due del pomeriggio che mi aiuta a distrarmi. Il mio compito di oggi, dopo aver lasciato finire il frizzamento, è quello di stuccare i buchi nel muro lasciati dai quadri che Carla si è portata via. In camera da letto c’era una stampa dei pesci rossi di Matisse: due buchi sopra alla testiera del letto. In soggiorno una locandina di Pallottole su Broadway: un buco accanto alla finestra; e un grande specchio di antiquariato con la cornice dorata: ben quattro buchi belli grossi sopra al divano.
Il compito di domani ce l’ho scritto su un foglio del mio taccuino che porto sempre con me quando vado nell’ufficio di Canardi, perché mi dà molte istruzioni: devo sistemare il rubinetto del bagno e la corsia della tenda in camera che non scorre. Dice che a settembre avremo risolto tutto e potrò ricominciare daccapo, una nuova vita, migliore, e dimenticare Carla.
Ventiquattro giorni passano in fretta, ventitré giorni passano in fretta, ventidue giorni passano in fretta, mi ripeto ogni sera e le frizzine nel secondo cassetto sono finite già due volte, ma alla penultima bustina mi sono sempre ricordato di scendere dal tabaccaio a comprarle. Da quel tabaccaio Carla ci comprava le sigarette e tra poco non vedrò più nemmeno lui, anche se le frizzine andrò a comprarle da un’altra parte, perché senza le frizzine non posso stare. Chissà se il nuovo tabaccaio mi capirà o gli dovrò spiegare che intendo le Frizzy Candy?
Due giorni passano in fetta, un giorno passa in fretta e finalmente è il 7 settembre, oggi andrò nello studio del dottor Canardi, l’appuntamento è alle 15:00. Alle due del pomeriggio corro in cucina, apro il secondo cassetto, tiro fuori la bustina di frizzine, mi siedo sulla sedia con lo schienale attaccato al muro di piastrelle beige con le foglie marroni al centro, la finestra è aperta, strappo il bordo della bustina, apro la bocca, mi scuoto la bustina sulla lingua facendo uscire tutti i granelli e poi stringo le labbra e schiaccio la lingua contro il palato, appoggio la testa sul muro, mi godo lo scoppiettio e resto così per dieci minuti in estasi.
Sono pronto per andare a piedi dal dottor Canardi per risolvere tutti i miei problemi, percorro il viale alberato, le ultime cicale dell’estate friniscono all’unisono tra le foglie dei platani che frusciano al vento, calpesto tutti i ciuffetti caduti dagli alberi che coprono la pista ciclabile rossa, li guardo sparire sotto la suola delle mie scarpe, a destra il parchetto è deserto tranne la zona cani dove due signore fanno cacare i carlini. Attraverso l’incrocio quando l’omino diventa verde e sono sul marciapiede opposto alle 14: 58, puntuale per entrare nella porta con su scritto Dottor Canardi, agenzia immobiliare.
Mara Abbafati, nata l’11 dicembre, è una editor e traduttrice freelance. Ha collaborato con L’irrequieto e A few words come autrice e redattrice. Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati su antologie e riviste (Pastrengo, Narrandom, Virgola, Carie e Clean). Fuori sembra lei ma dentro è Michele Apicella.