Il Pigneto è un quartiere multiculturale, mi piaceva, ci stavo bene. Era proprio in mezzo, questo quartiere, a una zona piena di cinesi e un’altra piena di Bengalesi. Banglatown, la chiamavano, la zona piena di Bengalesi. È un quartiere multiculturale, mi affacciavo dalla finestra, vedevo una moschea. Non ci sembrava una moschea, a dire la verità. Aveva un cancello grande, grigio, poteva essere un meccanico, per dire, senza mancare di rispetto a nessuno, ma ci poteva essere chiunque in quel grande cancello grigio, ci ho messo un po’ ad accorgermi che era una moschea.
È un quartiere multiculturale, il Pigneto, ogni volta che uscivo vedevo la mia via zeppa di persone di colore che, almeno una volta al giorno, ma anche due, io ci passavo accanto, loro mi salutavano. Che io mi dicevo Che gentili, questi abitanti del Pigneto.
Un quartiere gentile e multiculturale, che ogni volta che passavo davanti a questi uomini di colore, almeno una volta al giorno, ma anche due, mi dicevano Ti serve qualcosa? Ma che gentili, questi abitanti del Pigneto, veramente, io non ci potevo credere.
Almeno una volta al giorno, ma anche due, passavo davanti a questi uomini, erano sempre uomini devo dire, passavo davanti a questi uomini di colore, mi offrivano la droga.
Devo fare però la doverosa precisazione che non tutti gli uomini di colore che abitavano al Pigneto offrivano la droga, che essere un uomo di colore non implica affatto la peculiarità di far parte del narcotraffico capitolino. A San Lorenzo, per dire, che era un altro dei quartieri qui vicino, a San Lorenzo ad offrire la droga erano tutti italiani, per dire. Ma al Pigneto era diverso, perché è un quartiere multiculturale, e lì la droga la offrivano le persone di colore, che diventava più caratteristico come fattore.
Per molti degli abitanti, quelli storici, al Pigneto c’era il problema della droga. Un altro dei problemi che affliggevano il Pigneto era il problema che sradicavano i pini, che Già ce ne sono pochi di pini, dicevano. Ma che maniere, dicevano pure.
Da quando Maria si incontrò con questi storici abitanti del Pigneto, cominciò ad affliggersi pure lei per il problema dei pini che venivano sradicati. Che maniere, mi diceva, parlando di quelli che li sradicavano. Eh, dicevo io, Già ne sono rimasti pochi, dicevo pure, avendo imparato le varie fasi della discussione sulla problematica dello sradicamento dei pini. E per un po’ questa cosa era andata anche bene. Che maniere, mi diceva lei. Già ne sono rimasti pochi, rispondevo io, e poi si iniziava a parlare di nuovi baretti da provare o delle zone di Roma che non avevamo ancora visitato. Che maniere, mi disse un giorno. Già ne sono rimasti pochi, risposi io, e già stavo per cambiare argomento. Bisogna fare qualcosa, mi disse lei.
Io questa terza battuta del nostro scambio non l’avevo mica prevista. Ci stavo anche per rimanere male, ci stavo, che improvvisare così, senza avvisare il partner, si possono fare brutte figure. Bisogna fare qualcosa, ripeté lei, che era nativa indigena di Milano e quindi era abituata che se c’era un problema lo si risolveva. Io allora, con la pazienza rassegnata di meridionale, cercai di spiegarle che lì eravamo a Roma, e la prassi vuole che se c’è un problema ci si lamenta, e che poi, se va bene, le cose si risolvono da sé. Ma lei a volte è di una cocciutaggine nordica, guarda, porca la maiala, lasciamo perdere.
E quindi seguitò a informarsi sui pini, gli sradicamenti, conobbe un assessore che se ne occupava, l’assessore le disse C’è un modo per salvare i pini e non farli abbattere, basta che i cittadini li segnalino in municipio. Ma i cittadini lo sanno?, chiese Maria. Non lo sanno, rispose l’assessore.
Maria venne allora da me, sorrideva, felice, la vidi, sorrisi anch’io, Che bella che è, pensavo, lei mi disse Sai che facciamo?, Che cosa?, risposi, sorridevo, sorrideva pure lei, che bella che era. I cittadini hanno bisogno di sapere come salvare i pini, mi disse. Facciamo un video per spiegarglielo, mi disse.
Il sorriso, fulmineo mi era arrivato, fulmineo scomparve.
La cocciutaggine nordica, proprio, porca la maiala.
Al Pigneto c’è l’area pedonale, che è uno dei ritrovi della movida, lo dicevano sempre i telegiornali che ne parlano per parlare della droga.
La via dove abitavo dava proprio sull’area pedonale, ed era bello essere per una volta nel centro delle cose. Non mi era mai successo in vita mia, che uno mi chiama, mi dice Pigliamoci da bere, vengo al Pigneto da te. Non mi era mai successo di essere al centro delle cose.
Tantopiù che Roma è immensa, mica come Milano. A Roma se ti vuoi vedere con qualcuno devi iniziare tutta una strategia logistica per ottimizzare tempo e numero di mezzi. Avere la gente che dice Pigliamoci da bere, vengo al Pigneto da te, è una comodità che lasciamo perdere, non ve lo dico nemmeno.
Ma io mi ci son trasferito in autunno, faceva freddo, nell’area pedonale c’era comunque un po’ di gente ma i miei amici mai, oh, mai che mi avessero detto Veniamo al Pigneto da te, che guarda i miei amici ci voglio un gran bene, però che fatica. Siccome loro erano tutti barricati in un’altra zona di Roma, tutti nella stessa zona per giunta, alla fine per bere qualcosa ero sempre io a dover andare da loro. Ma io per ripicca ci andavo poche volte, perché è una cosa poco corretta, secondo me, è poco rispettoso, farlo spostare, il centro delle cose.
Al Pigneto c’era il problema degli spaccini, che erano queste persone che spacciavano la droga. Eppure erano tanto gentili, tanto simpatici, tanto cortesi, ti salutavano, appostati a gruppetti sulla via pedonale, ti sorridevano. Pure con Maria erano tanto simpatici, gentili e cortesi, la salutavano, le sorridevano, le facevano anche un sacco di complimenti, quando passava. Forse un po’ troppo gentili, questi spaccini del Pigneto, troppo cortesi, il senso della misura è importante, talvolta.
Al Pigneto ci stava il problema della droga e ci stava pure il problema di quelli che sradicavano i pini. Era un peccato perché il Pigneto era un bel quartierino, sembrava un paese, ma tutti quanti, specie chi non ci abitava, ne parlavano solo per il problema della droga. Oppure, specie chi ci abitava, ne parlava solo per il problema dei pini.
Secondo me al Pigneto c’erano problemi anche più stringenti. Per carità, si potrebbe non essere d’accordo, ma secondo il mio parere c’erano problemi molto più gravi che erano ad esempio il problema dei piccioni, maledetti piccioni.
Quando ho dovuto cercare casa a Roma io ho voluto una casa come iddio comanda, perché io lavoro da casa e lavorando da casa ci passo tanto tempo e quindi la casa doveva essere come iddio comanda, doveva averci le qualità. Ci avevo messo una vita a trovarla, ma alla fine ero riuscito ad avere in affitto una stanza in una casa carina, proprio al centro del Pigneto, con tanto di balconcino vista moschea.
Prima di stabilirmici io, in quella stanza ci viveva una ragazza, forse studentessa, forse lavoratrice, che aveva il terrore degli uccelli. Questo suo terrore degli uccelli l’aveva portata a non aprire mai il balconcino in tutti gli anni che aveva vissuto in quella stanza dove poi mi sono trasferito io, per cui quegli stessi uccelli di cui lei aveva paura, su quel balconcino, avevano imparato a fare il bel tempo e pure quello cattivo.
Alcuni piccioni, particolarmente attratti dal bello e dal cattivo tempo che poteva essere fatto su quel balconcino, su quel balconcino decisero di farci un nido. Era un balcone sfizioso, proprio al centro del Pigneto, che era un bel quartierino, Pare un paese!, avranno pensato i piccioni.
Quando mi sono trasferito in quella stanza e ho aperto il balconcino i piccioni stavano proprio per terminare l’occupazione abusiva, che io ci ho urlato Che ci fate qua? Via!, ci ho urlato, e loro se ne sono andati. Almeno così credevo.
Puntualmente quei piccioni, maledetti piccioni, approfittando di mie disattenzioni o delle assenze da casa, tornavano sfacciati coi rametti nel becco e ci riprovavano, a fare il nido, quel nido tanto agognato, vista Pigneto, proprio al centro del quartierino. E puntualmente ogni mattina io mi alzavo, aprivo le finestre, facevo passare aria, andavo sul balcone, pigliavo quei rametti, li lanciavo via con tutta la forza che avevo gridando sconcerie al vento, che la gente mi vedeva, mi credeva ammattito. Poi però tornavo alla mia vita da freelancer, libero e indipendente, con tutte le distrazioni dei freelancer, quindi i piccioni si ripalesavano e, forse per punirmi dello sfratto subito, mi scacavano su tutto il balconcino, quei maledetti, maledetti, maledetti piccioni.
Questo per me era un problema serio e snervante, altro che la droga, che ci avrò perso la testa a lanciare rametti e sconcerie al vento in quelle mattinate, con l’ansia acca ventiquattro, che la notte mi svegliavo sentendo il trù trù dei piccioni, balzavo dal letto strappandomi il lenzuolo di dosso e gridando male parole alla mia porta-finestra vista moschea, che la gente sentiva, pensava subito all’Isis, che era un periodo quello che c’era ansia, il mondo occidentale non la stava prendendo bene, io arrivavo al balcone, pestavo i piedi sul parquet per fare rumore e tenerli lontano, quei maledetti, maledetti piccioni, che la gente mi credeva ammattito, che io stavo ammattendo per davvero.