Giocatore feroce come solo chi trasuda denaro può essere: eccomi. Effendi depravato, ho scommesso l’inconcepibile… anche quello, sì, anche quello. E ho vinto. Ho sempre vinto. Mai stato intruppato nella miserrima falange dei tabagisti dell’alea, nell’orda dei cronici col cervello frullato dai giri di roulette. Io no. Io, che mi vanto di ghiaccio, ho vinto, perso, rilanciato e vinto di nuovo. Ogni volta, alla fine, ho vinto. Ma il trionfo fa il tossico, e il balsamo per lenire i parossismi d’orgoglio della fauna cui appartengo è spuntarla nella sfida più ardua: fotterlo.
Lo incontrai, va da sé, non al casinò, tempio mondano ove regolarmente mi recavo a sedurre la fortuna, ma in un ambiente che tentava d’imitarlo e ne forniva una squallida versione in sedicesimo. Era la quintessenza del baretto di periferia, con le sedie e i tavoli di metallo arrugginito, il pavimento lordato dalle suole dei lavoratori di fatica, il bancone in cartongesso, lo specchio dietro il mescitore. Ammiccando, quello m’indicò la tenda all’angolo, superata la quale, lo avrebbe capito un’educanda, sarei entrato nel bengodi proibitissimo del piccolo borgo in cui ero capitato, il Nirvana diroccato dei dadi e della riffa.
Una cassa in lamiera dotata di tre rulli con figure di ciliegie, campane e ferri di cavallo azionati da una leva e una boccuccia in ferro per inghiottire le monete era il marchingegno più moderno che offrisse quella bisca. Fumando con accidia, languiva un’umanità stanca e stralunata: ruffiani, bagasce, manigoldi con il naso affondato nel ventaglio delle carte da ramino. Il desco unto sul lato corto della stanza reggeva i gomiti di una risma d’alcolisti, intenti, seguendo un infallibile moto oscillatorio, a riempire il portacenere al ritmo cadenzato con cui svuotavano i bicchieri.
Fra i messi peggio c’era un tizio con un cappello musicante, che parlottava coi fantasmi, teso come prima di un duello.
Le luci natalizie penzolanti dal soffitto emanavano lampi smorzati d’arancione, dando alla sala, per il resto nuda d’ornamenti, un’aria sinistra e disturbante. Non esisteva cornice più adatta per l’immondo baratto che mi accingevo a consumare.
Lo vidi. Indossava un vestito disusato color castagna, lindo e frusto, bottoni in madreperla, farfallino zebrato e tiracche in cuoio. I capelli grassi, i baffi di pece a paralume, la barba brizzolata e il monocolo smaltato gli conferivano l’aspetto solenne del patrizio decaduto, del barnabotto che aveva trasformato in reggia la cantina in cui viveva. Nel complesso, una figura dozzinale, dalle movenze urticanti: era Lui, il padrone del mondo basso, degli istinti animali, delle forme grezze, degli appetiti plebei, elegante e fuori moda, antico e votato al male, anzi: il male.
Un destino beffardo aveva voluto che lo incontrassi in prossimità del genetliaco del Signore. Era una burla? Se seria, riuscita assai. Avvicinatosi, mi parlò con la sicumera di chi è lungamente atteso. Voce roca e tendenza a semplificare le liquide. La proposta fatta a un ricco, che tutto possedeva di concreto, che qualsiasi capriccio poteva soddisfare cagando dindi da chiappe carezzate da braghe di velluto, era intrigante: ascensione morale, perfezione della coscienza, sublimazione dell’io. In cambio della solita, scontata anima.
Cos’era, poi, quest’anima? Che valore attribuirle? Io gliene davo poco, ma Lui? Molto. Moltissimo. La bramava in modo esasperato. Un’ottima merce di scambio. La posta andava alzata: l’illuminazione interiore, posseduta per un pugno di decenni, fino all’inevitabile trapasso, era nulla in faccia all’eternità: fra il richiesto e il promesso passava l’incalcolabile. Incurante dell’ossimoro, volli, insieme e in sovrappiù, sei secoli di crapula spasmodica, estasi sublimi, goduria totale, gozzoviglie bacchiche e veneree, fino a un limite estremo che da solo non avrei raggiunto per penuria non di sostanze, ma d’immaginazione. Frugando pensoso nell’orecchio con l’unghia acuminata, Lui annuì, facendo mostra d’aver concesso chissà che. Scambiò in quel mentre uno sguardo complice con un figuro lì in disparte, dagli occhi freddi, che si portava come fosse un millenario.
Intanto io, inteso il finto indugio, la mossa a effetto del teatrante, ci ripensai. Mi tenni l’anima e il resto… al diavolo!
Ingagliardito dalla sconfitta che avevo inflitto al principe del buio, uscii nella piazza del villaggio. Una folata di vento mi baciò la fronte, e per la prima volta in vita mia non ebbi niente da attendere, niente da temere, niente da ottenere. Avevo surclassato il nemico rifiutando la tenzone. Assaporai l’attimo supremo, il magnifico successo, poi d’un tratto…
«Prima volta qui.»
Mi voltai. Era l’astante misterioso, dalle chiarissime pupille. La sua non era una domanda, la mia sì: «Sei un forestiero anche tu?»
«No.»
«Giocatore?»
Scosse la testa.
«Mi interessa più quello che c’è sotto terra che quello che c’è sopra. E mi pare di capire che tu la pensi come me.»
Indicò con un cenno il bar alle nostre spalle.
«A me interessa vincere», replicai.
«Ti prendi dei bei rischi.»
«Lo conosci? Vi siete guardati, lì dentro.»
«Chi può dire di conoscerlo è morto o sta per morire.»
Mi sentii punzecchiato: «Io l’ho battuto.»
Annuì e si mosse per andarsene.
«Attenzione, per le vie del borgo ci si perde spesso», disse.
«Dove vai?»
«Domani ci sarà un’inaugurazione. La mia presenza sarà necessaria, devo essere pronto.»
Non capii, lo vidi solamente allontanarsi e infilarsi nel bosco.
Luca G. Manenti è nato nel 1974 in un paese della bassa padana, ma da tempo vive a Trieste. Quando non scrive di storia scrive racconti. Ne sono apparsi su Rivista Blam!, Coye, Clean, Il Mondo o niente, Salmuria, Smezziamo, La nuova carne, Neutopia. Altri arriveranno.
Avete letto la terza parte de I labirinti del borgo, il racconto di Natale condiviso tra quattro riviste e blog letterari: Spazinclusi, Rivista Blam!, Bomarscé e Spaghetti Writers. Ogni rivista pubblica un testo di un autore presentato da un’altra rivista del progetto. Tutte le illustrazioni e il materiale iconografico sono state realizzate da Francesca Galli.
A Lui, il racconto di Luca G. Manenti, autore proposto da Rivista Blam!, seguirà su Spaghetti Writers l’ultimo capitolo scritto da un autore che abbiamo avuto la fortuna e l’onore di pubblicare già due volte su Bomarscé: lo scoprirete la prossima settimana. Per leggere i quattro testi del racconto completo, quando saranno infine pubblicati tutti, potrete andare cliccare qui o sull’immagine qua sotto.