Squarcia la pelle e salta fuori. Spalanca la bocca e conficca i denti aguzzi nella faccia dello sciagurato. Quando ha finito, il pastore tedesco rientra e si accuccia nel suo solito angolino, in fondo allo stomaco. Lei si aggiusta la ciocca di capelli che è scivolata sul volto, rassetta gli abiti sull’addome.
Bianca sarebbe una ragazza istintiva, se non fosse che le hanno insegnato a essere cortese, gentile, sorridente, assennata e brava. È stata una bella bambina esile, dai lunghissimi capelli lisci, biondo castano, quasi sempre sciolti sulle spalle. Le piacciono quasi tutti gli animali. Gli scarafaggi li schiaccia. Se hanno una corazza croccante si delizia a sentirli sotto la suola. Se sono mollicci prevale il disgusto, ma li schiaccia lo stesso. Fra quelli volanti ammazza solo le zanzare.
Quando è nata non è stata accolta benissimo. Lei era felicissima di uscire dall’utero ma gli altri ce l’avrebbero volentieri lasciata in eterno. Non era un maschio.
Ormai non ci si poteva far nulla, uno schiaffo più forte del dovuto sulle natiche, lavata, avvolta in uno scialle e lasciata lì, sperando che diventasse grande in fretta e furia, per sbarazzarsene appena possibile, dandola in moglie a qualcuno.
Buffalo le si è avvicinato quando è stata in grado di vederlo. È già grande quando per la prima volta le salta fuori dallo stomaco e vola, tipo tigre di Mompracem, verso la faccia di quello che le sta di fronte. Emilio Salgari deve averla creata apposta per lei quell’isola lontana e sconosciuta in cui è nato Buffalo. Bianca però non lo sa e per lei Buffalo è sempre stato un pastore tedesco, non una tigre. Col tempo lui si è adattato a essere sia cane sia tigre. Quando da piccola andava a trovare il suo zio preferito, Lupo era il pastore tedesco che le faceva le feste.
Zio Donato aveva gli occhi sgranati di chi è stato prigioniero di guerra, le mani gentili di chi vuole che nessun altro soffra senza la libertà. La teneva forte forte e le faceva fare il giro veloce, sospesa nell’aria. Aveva un po’ paura ma si fidava di lui. L’abbracciava forte e stava seduto con lei qualche minuto, aspettando che il giragiratesta finisse. Quando zio Donato è morto, Bianca ha perso l’unica persona di cui si fidava.
Lupo è rimasto per tre mesi a fissare il letto vuoto. Lo cercava in giro, entrava in casa e, non trovandolo, si accucciava in camera. Alla fine deve aver capito che non sarebbe tornato. Bianca ha tenuto la testa di Lupo sulle gambe, carezzandolo, rassicurandolo, finché non l’ha guardata, le ha leccato la mano, ha messo giù la testa e non si è più mosso.
Si è alzata, lo ha preso tra le braccia, ha cercato una vanga, è andata nella vigna, ha scavato una fossa, lo ha poggiato al suo interno, ha intonato la canzone che zio le cantava per farla addormentare, lo ha ricoperto di terra e ranuncoli bianchi, i fiori preferiti di zio Donato.
Due settimane dopo ha lasciato il paesino senza marito, ma almeno li ha fatti contenti levandosi di torno.
A sedici anni le offrono solo contratti con paghe misere. Crescendo ha capito che il problema non è l’età, le paghe sono rimaste misere anche dopo.
A diciotto anni ha trovato una casa tutta per sé. Ha detto a Claudia e Giulio che lascerà la stanza che ha condiviso con loro per due anni. Lui in particolare non è d’accordo, Claudia sì, è sempre stata gelosa degli sguardi di Giulio per Bianca. La colpa è sua, non di Giulio, è lei che lo provoca, senza di lei Giulio sarebbe fedele. L’ha ribattezzata cappuccetto nero perché veste solo di nero. Bianca ha sempre lasciato perdere, non vuole litigare con nessuno dei due. Prende le sue cose e se ne va.
Giulio sa dove lavora, il giorno dopo la segue fino alla nuova casa. Si intrufola nell’androne, la segue su per le scale.
Lei si accorge di lui, gli dice: «Vattene».
«Tanto lo so come siete, no no no e poi invece è sì».
«È sempre no, vattene».
Infila le chiavi nella toppa con mano ferma.
Lui non ci pensa proprio ad andarsene, quel corpo che ha rubato dal buco della serratura lo vuole per davvero. Infila il piede nella porta che Bianca non ha fatto in tempo a sbarrare. Spinge ed entra. Lei di nuovo gli dice:
«Per l’ultima volta, Claudio, vattene».
Arretra fino al cassetto delle posate.
Lui ride, dice: «Perché sennò che mi fai?»
Allunga la mano verso di lei. Il coltello gli si conficca, fra indice e medio. Urla per il dolore e per la sorpresa, le si avventa contro, lei fa un salto verso l’ingresso, afferra l’ombrello, preme il pulsante e fa scattare l’apertura. Gli finisce dritto in faccia, lui bestemmia, cerca di liberarsi della tela impermeabile che gli impedisce di arrivare a lei, riesce a gettare l’ombrello di lato, le afferra il braccio sinistro, lei lo colpisce di nuovo, gli taglia l’avambraccio, il sangue schizza, lui grida.
Lei riesce a spalancare la porta, dice: «Vattene».
«Io ti denuncio».
«Fai quello che vuoi, basta che sparisci».
Lui le si avventa contro.
Buffalo salta fuori e dirige il coltello nella mano di Bianca, squarciandogli guancia, labbra, mento. Lui cade all’indietro, batte la testa contro lo spigolo del tavolo e rovina per terra.
Lei chiama la polizia, nessuno crede che si sia difesa da sola, nessuno accetta la sua versione. I rilievi di impronte e sangue le danno ragione. Stilano il verbale, il ferito è ormai in ospedale da un po’, la guardano come fosse un’aliena, se ne vanno. Buffalo torna nel suo cantuccio.
Casa è un disastro, rimette a posto sedie e tavolo, chiude l’ombrello, lava coltello, pavimento e piastrelle.
Se ne devono andare di nuovo. Quando Buffalo interviene agli altri non garba. Se a soccombere è lei, invece, tutto bene, paroline affettuose, occhi dolci e tanta comprensione.
Prepara il piccolo trolley, non ha molto, e il monolocale lo ha affittato già arredato. Telefona al padrone di casa che le urla contro perché non ha dato il preavviso.
È partita, è scesa alla stazione distante sessanta euro da quella di partenza. Non ha nemmeno guardato il nome scritto sulla pensilina. Ha cominciato a camminare. Quando ha visto un affittasi ha telefonato. Problema casa risolto.
Entra in una piadineria, ha fame. Si siede fuori a mangiare. Un tizio si avvicina al tavolo, sposta una sedia e si accomoda.
«Sei molto bella».
Non gli risponde, continua a masticare e a bere il suo mezzo litro di acqua naturale.
«Mi piacerebbe farti un provino».
Si gira a guardarlo. Viso arrossato, capelli arruffati, abiti in ordine, scarpe pulite, magari si è solo dimenticato di pettinarsi. Buffalo è in allerta.
«Che provino?»
«Sto cercando comparse, ti può interessare?»
«Quanto paghi?»
«Sessanta euro al giorno».
Sono tanti, Buffalo ringhia, lei vuole accettare. Dice: «No grazie».
«Ti darei di più ma è un film a basso costo».
«Non è per quello, il mio manager non è d’accordo».
Qualcosa nello sguardo di lei lo induce ad alzarsi e andarsene.
Peccato, era una buona occasione, è quasi tentata di richiamarlo ma desiste, nello stomaco qualcuno non è d’accordo. Non le dispiace avere una guida infallibile, però a volte vorrebbe essere più libera di decidere da sola. Il guaito la fa sentire colpevole Dopotutto è Buffalo che la salva sempre, è Buffalo che combatte senza posa per tenerla lontana dai guai. E di nuovo quel pensiero, inarrestabile: come sarebbe se lei fosse da sola?
Cerca con lo sguardo il tizio spettinato, lo intravede lontano. Si alza, corre, lo raggiunge: «Ehi».
Riprende fiato, gli dice: «Ti va bene se faccio la comparsa solo per un giorno? Di più non posso».
L’indomani la giornata trascorre senza intoppi, Bianca non capisce perché Buffalo avesse ringhiato. Si fida di lui ma, chissà, forse si è sbagliato. Dal giorno prima non si è più fatto sentire. Prende i soldi e se ne va. Si gira indietro a guardare, il tizio è ancora lì che sistema cineprese e set. Torna indietro, gli dice: «Per quanti giorni ti servivo?»
«Quindici. Poi volendo puoi triplicare la paga, se ti va di fare la controfigura».
«Non ho mai fatto la controfigura».
«Niente di complicato, la protagonista deve entrare in quell’edificio finto, in fiamme, e uscirne con il bambino che ha salvato».
Vede la faccia spaventata di lei, si affretta a precisare: «Indosseresti abiti ignifughi e comunque ci sono i vigili del fuoco, la scena l’abbiamo predisposta con loro e sono sempre presenti per qualsiasi evenienza».
Bianca si rilassa, non avverte nessuna protesta. Non sa ancora che Buffalo ha accettato di non essere più il benvenuto.
Finiti i giorni da controfigura, resta nel giro. Guadagni facili, servono solo bellezza, agilità e il briciolo di incoscienza dei suoi diciotto anni. Un posto in cui rimanere era ciò che voleva. Sperimentando cose nuove, lontana dai soliti impieghi. Col tempo però le pare che il set e la vita si siano scambiati di posto. Non le va più di alzarsi al mattino, non le piace più fare la comparsa, né la controfigura. Le era stato proposto di recitare nel ruolo di protagonista, ma non ha provato l’interesse che si aspettava.
Le manca la voce di Buffalo, lo cerca senza più trovarlo. Ha provato a rimanere a casa per qualche giorno, sperando che nel silenzio e nella quiete si facesse vivo di nuovo. Sente solo scarafaggi sulla pelle, zanzare fastidiose e vermi. Non trova più un luogo dove stare bene. Magari può bastare tornare in un paesino in provincia, forse è la città il problema.