Non ha funzionato. Nemmeno nel paesino che ha scelto ha ritrovato Buffalo.
Ha smesso di cercare lavoro, di pensare alla casa, è rimasta a girare col trolley, dormendo dove capita, i capelli legati in una treccia ormai unta, gli abiti sporchi e logori. Si è abituata al proprio odore e non lo valuta più come cattivo. L’abbrutimento è stato graduale, all’inizio ci faceva caso, poi è diventato l’odore naturale come lo era prima quello fresco di doccia e deodorante.
Ormai pensa solo a Buffalo, senza di lui non è più Bianca. Stare da sola, senza la sua guida, non le piace. Voleva solo provare, non voleva mandarlo via e non ha idea di come farlo ricomparire.
È sdraiata nel suo solito angolino, al riparo sotto un ampio cavalcavia. È un posto che ha trovato per caso, durante un violento temporale. Ha finito col restarci, non pareva esserci nessun altro. Pensava che fare il senzatetto fosse facile, trovi un posto e ti fermi. Invece ha scoperto che anche loro lottano per il proprio posto. Lei da sola non sa difendersi, soccombe e se ne va, basta un urlo, un rimprovero e subito si avvia col trolley in un’altra direzione.
Nemmeno dopo la morte di zio Donato si era sentita così, perché non era da sola, c’era ancora Buffalo. Adesso è davvero sola, ha tutta la libertà che voleva e non sa come gestirla.
«Ti spiace se mi metto qui?»
Lo sconosciuto l’ha fatta trasalire. Vuole acconsentire ma poi magari le scippa il posto.
Il ragazzo dice: «Lo so che è tuo qui, è solo per questa notte, domani me ne vado».
Lei non dice niente, lui riprende la sua roba e si avvia.
«Aspetta, ok, per una notte, va bene».
«Mi chiamo Max, non è il mio vero nome, ma quello non lo uso più da anni».
Comincia a sistemare il cartone e le coperte per il sonno.
«Grazie ancora, sei stata molto gentile a farmi restare. Buonanotte».
Si stende e si mette a dormire. Lei rimane a fissarlo. Che ci fa sotto un cavalcavia? Quanti anni ha? E lei come ci è finita in quel genere di vita? Per aver espresso un dubbio su Buffalo?
«Non pensare mai di notte, le domande diventano giganti che ti sbranano, dormi di notte, vivi di giorno, pensa al limite di pomeriggio».
«Credevo dormissi».
«Ci stavo provando ma il tuo fissarmi mi tiene sveglio. Cip continua a grattarmi sulla guancia».
«Cip?»
«La mia guardia del corpo, ma la vedo solo io».
Il vento leggerissimo passa sui loro volti.
«Scusa, non volevo disturbarti. È che sono proprio in una confusione ciclopica».
«Se è ciclopica è più grande di te, non ci puoi fare niente, lasciati inghiottire e vedi che succede».
«Non ci riesco. Rivoglio il mio Cip».
Il ragazzo si gira a pancia in su, incrocia le mani dietro la nuca. Dice: «Che intendi?»
«Prima se non dovevo fare qualcosa ringhiava, ora invece mi pare che ce l’abbia con me. Sbaglio tutto senza il suo aiuto».
«Magari si è offeso e te la sta facendo pagare. Ha cambiato posto?»
«Mi pare di sì, ma tu come lo sai?»
«Tutti quelli come noi hanno una guardia del corpo fuori posto. Cip prima stava nelle caviglie e si chiamava Mercury, poi si è spostato nel collo, è diventato Cip. Il tuo dov’era?»
«Stava nello stomaco. Prima era Buffalo, e mi pare che ora stia nel fegato».
«Io andavo sempre dove non dovevo, per quello stava nelle caviglie. Tu forse mandavi troppo giù e si era messo lì. Adesso che è nel fegato che fa?»
«Ringhia come prima, però contro di me».
«Come fai a essere sicura che sia contro di te?»
«Beh, guarda come mi sono ridotta».
«Cosa ti manca? La doccia, gli abiti puliti, il lavoro, la casa, le tasse?»
«I primi due».
«Domani cercheremo abiti puliti e un posto in cui poterti lavare. Cos’altro?»
«Mi manca Buffalo».
«Magari però se torna lui, tornano anche lavoro, casa e tasse. Ti piaceva quella vita?». Rimane a guardare il cemento del cavalcavia, aspettando che lei risponda.
Bianca non lo sa. Ha seguito gli eventi senza ben capire cosa stesse accadendo e come stesse cambiando la sua vita. È finita a vivere per strada senza quasi accorgersene. Credeva fosse per l’assenza di Buffalo. Non ha però mai riflettuto su niente. Buffalo era guida, rete di sicurezza, paravento, corrimano, amico, protezione. Ma se è come dice Max e Buffalo andava bene per il tipo di vita di prima, che deve fare? Torna alla vita precedente o cerca nuove voci? E come le trova? Ha ragione Max, meglio rimandare a domani pomeriggio, questi pensieri la stanno sbranando. Si gira su un fianco e si addormenta.
Sta sognando di imbarcarsi in aereo quando la voce la raggiunge: «Andiamo a far colazione?»
Non è lo steward, è Max. Si stira senza troppa voglia di alzarsi: «Vai tu, non ne ho voglia».
«Dai, dobbiamo anche cercare i vestiti e ti accompagno in un posto per la doccia».
Questo invece le va, si alza, rimette il letto nel trolley e si avviano.
È bello sentirsi di nuovo pulita e profumata. Anche sciogliere i capelli dopo tanto tempo è strano.
«Che schianto. Sei sempre tu o ti hanno trovato una controfigura?»
Max ride e le gira intorno con ammirazione.
«Pensa che l’ho anche fatta la controfigura».
Gli racconta quella parte di vita che sembra appartenere a un secolo prima. Lui non sembra impressionato più di tanto. Ha già spostato l’attenzione a ciò che hanno intorno, a quello che accade nella giornata.
«Tu che facevi prima di arrivare sotto il mio cavalcavia?»
«Quello che faccio adesso, vivo».
«Sì, ma io intendevo prima di finire per strada».
«Lo dici come se fosse un guaio». La guarda, dice: «Io ho scelto di stare per strada, non mi è capitato». Rimane con gli occhi su di lei. Dice: “Forse è questo che ti fa star male, pensi di essere finita in una brutta condizione. È così che ti senti?»
«Sì».
«E allora cambia. Cerca un lavoro, una casa e torna alla vita di prima».
«Nessuno mi prenderebbe conciata così».
«Sei stupenda, pulita e profumata. Nella tua testa ormai ti vedi sempre sporca».
Ha ragione, si è appena lavata e cambiata, ma la Bianca nella testa è una stracciona. Dice: «Non so cosa voglio fare. Così non mi piace, ma neanche prima mi piaceva».
«E allora prova a essere sia Bianca sia Nera. Prova a essere e basta, pulita se sei pulita, sporca se sei sporca, che ti frega, sii ciò che sei giorno per giorno».
«Non ci riesco a essere come te».
«Devi essere come te, non come me. Dai, basta con queste elucubrazioni».
«Mi annoio. La giornata passa e non ho niente da fare».
«Niente da fare? Sei matta».
Le mette un braccio sulle spalle, avvicina il viso al suo, allunga l’indice verso uno sconosciuto, dice: «Vedi quello? Corre, ha l’aria angosciata, mi chiedo chi è, che fa, cosa lo mette in affanno. Vedi quella ragazza? Ha i vestiti belli, colorati, però cammina a disagio, perché? E quel bambino che piange, perché la madre resta al telefono invece di confortarlo? Quell’auto, chi saranno quelli a bordo?»
«Va bene ho capito, ma dopo un po’ non diventa noioso anche questo?»
Lui toglie il braccio, si raddrizza, resta con gli occhi sulle persone che passano, una parvenza di sorriso gli piega appena le labbra. Riprende a camminare, senza rispondere.
«Scusa non ti volevo offendere».
Lui non la guarda, dice: «È te stessa che offendi, non me».
Accelera il passo per stargli dietro, dice: «In che senso offendo me stessa?» In effetti si sente offesa e a volte non capisce ciò che Max le dice.
«Tutto ti annoia e non capisci perché Buffalo sia sparito, perché non riesci a decidere cosa fare».
Lei s’imbroncia, rallenta, smette di seguirlo. Va bene, è confusa ma non è il caso di attaccarla così. Si ferma su un muretto. L’odore forte di pane appena sfornato le fa venire fame. Non ha denaro. Guarda nella direzione verso cui Max si sta allontanando. A lui non cambia niente che lei ci sia o no, ma lei si era già abituata alla sua presenza. Rivuole Buffalo, rivuole la vita di prima, ma sta bene anche così, le serve solo del denaro per un pezzo di quel pane fragrante e profumato. Resta lì, a capo chino, senza fare niente. La gente va e viene, guarda le scarpe, le gambe veloci, vanno quasi tutti di fretta, lei invece non ha niente da fare.
«Non è sempre il cervello che ti può aiutare, a volte devi decidere con i piedi, con i capelli, con la schiena».
Max si è seduto vicino a lei, le allunga un panino. Profuma, è caldo, appena sfornato, lo prende e inizia a mangiare.
«Non so che fare, Max».
«Questo lo avevo capito, ma non è pensandoci in continuazione che troverai la soluzione».
«Mi sa che non la troverò mai, Bianca vuole una cosa e Nera ne vuole un’altra».
«E allora devi trovare il modo di essere una e l’altra o di eliminare una delle due. Volendo puoi anche aspettare che arrivi una terza te e vedere che succede».
Lei finisce di masticare, dice: «Tu trovi sempre una soluzione. Non è che ti va di essere il mio Buffalo?»
Max ride, dice: «Impossibile, il giorno in cui ti renderai conto di quanto sei forte non vorrai più nessuno intorno. Hai già messo in fuga Buffalo».
«Ma non volevo, ho sbagliato».
«E allora diglielo, magari torna. Adesso vado, non ammattire a pensare e grazie per la compagnia».
Bianca non vuole che se ne vada anche lui.
«Te la caverai benissimo, io ero solo di passaggio, sono diretto a Berlino, parto questa sera».
Fa ciao con la mano e se ne va.
Bianca resta sul muretto, con metà panino, ormai tiepido, ancora da mangiare. Resta lì fino a sera, continuando a guardare le persone, il cielo, il trolley. Col buio si alza e torna al cavalcavia. Si addormenta subito, è stanchissima.
Buffalo e Max non li ha più incontrati.
Ogni giorno esce dall’ufficio guardando quello stesso cielo di tredici anni prima. Oggi lei è una di quelle persone che quel giorno guardava correre chissà dove. Non corre come loro, ma in parte è diventata come loro. Non è triste e non è felice, come tanti anni fa è divisa a metà, facendo finta di essere solo Bianca.
A casa c’è Giacomo che l’aspetta, le vuole bene, anche lei gliene vuole. È rimasta nello stesso paese, non faceva differenza stare lì o andarsene. Giacomo era uno dei volontari che consegnavano il cibo ai senzatetto come lei. Poi ha cominciato ad andare al cavalcavia anche da solo. Parlava tanto, lei lo ascoltava. Piano piano è diventato il suo Buffalo, gli chiedeva cosa fare, come fare, quando fare o no qualcosa.
Ogni tanto pensa alla forza e alla serenità che aveva quando il vero Buffalo era con lei. Nessuno sarà mai come lui, né lei sarà mai più come era allora, quando era solo Bianca.
Apre la porta e dà un bacio a Giacomo, lui la tiene stretta, le accarezza i lunghi capelli biondo castano. Sa che Bianca spesso non è lì con lui, ma anche solo abbracciarne il corpo lo rende felice.
Lei è il suo Buffalo.
Grazia Palmisano è nata a Martina Franca l’ultimo giorno di gennaio di un bellissimo anno. Ha scritto il primo racconto tanti anni fa e l’ha spedito a un concorso, ha perso e si è offesa. Poi ha giocato ai castelli di panna e ha ripreso, continuando a fasi e frasi alterne. Legge ogni volta che ha tempo, sia narrativa sia saggistica. Dal 2015 cura un blog. È stata tra i 13 vincitori al Book Pride 2017. Ha già pubblicato su Verde, L’Irrequieto, Quaerere e Formicaleone.