Carlo aveva assistito a quegli ultimi minuti seduto in punta di poltrona. Senza accorgersene si stava stringendo le mani una con l’altra. Valeria aveva rimosso tutto il pelo dal gatto. Aveva asciugato il bambino e l’aveva pulito. Qualche passaggio logico fondamentale sembrava mancare, ma quello che era appena successo l’avevano sotto gli occhi. Dove prima c’era un gatto ora c’era un bambino, come nei giochi di prestigio. Valeria sembrava tramutata in marmo, con le braccia scolpite nella posizione della culla. Reggeva a meraviglia Fusli, come sempre. Sembrava solo incantata a contemplare il prodigio. Il bambino. Il bambino invece piangeva. Forte. Non era piccolo come un bambino appena nato, ma un po’ più sviluppato. Sembrava un bebè di qualche mese con una bella chiomina nera, formata da capelli sottili. Poco dopo fu già in grado di stare seduto. Valeria l’aveva appoggiato sul letto per guardarlo meglio, mentre quello continuava a piangere. Carlo gli passò una mano dietro alla testa e infilò l’altra sotto le piccole natiche per soppesarlo. Il bambino diede una spintarella di reni e se lo ritrovarono seduto. Subito cominciò a roteare le braccine verso di loro senza smettere di gridare e tirare la faccia. Era a tutti gli effetti un bambino vero. Un bambino effettivo. Allora le grida della creaturina cominciarono a esercitare sui loro riflessi la pressione che la Natura ha voluto che esercitino. Carlo e Valeria scattarono in piedi e sempre di scatto si guardarono. Non trovavano nulla da dire.
Carlo controllò che balcone e finestre fossero chiuse, ma già sapeva che lo erano, sapeva che nessuno era entrato di nascosto. Per quanto assurdo bisognava rassegnarsi all’evidenza che quel bambino era Fusli. Valeria era andata in cucina, aveva preso del latte e l’aveva messo a scaldare in un pentolino. Ora stava rovistando alla ricerca di qualcosa che potesse fare da biberon. Mentre preparava quelle cose la sua mente era impegnata a ripassare tutto ciò che era successo nelle ultime venti ore, ma era difficile. Era notte fonda, avevano bevuto. Tutto avrebbe pensato tranne che di trovare un bambino umano al posto del gatto. Incredibile come l’impressione prodotta da un forte stupore sia in grado di cancellare tutti gli altri pensieri. Ancor più incredibile come dalla tabula rasa creata da una sorpresa improvvisa possa emergere a proposito l’azione successiva da compiere. Una vocina dentro Valeria le aveva detto: se il bambino piange vuol dire che ha fame, e Valeria aveva reagito subito. Mentre cercava di costruire un poppatoio con una bottiglietta di plastica e una garza, come in trance, si ricordò del sogno della notte prima. Allora si fermò e si accorse di quanto sembrasse assurdamente logico il susseguirsi di un sogno in cui aveva partorito un gatto e l’apparizione del bambino. Dal nulla, come in un sogno. Si impadronì di lei una sensazione molto netta al centro ma sfumata ai bordi, inafferrabile. Come se l’analisi razionale non riuscisse a stare dietro a un’intuizione troppo fulminea. La sensazione di avere a portata di mano la soluzione era tuttavia piacevole ed ebbe un effetto calmante.
«Il latte appena tiepido», disse Carlo, «se no si scotta la lingua», e spense il fornello.
«Sì signor saputello. Visto che sai tutto così bene fagli anche il pannolino.»
E poi? Di che altro c’è bisogno? Pensò Carlo. Di vestiti piccoli. Di un passeggino. Di un seggiolone. Di cremine per il culetto. Di visite pediatriche. Di qualcuno che si occupi di lui tutto il giorno. Di omogeneizzati. Di una culla. Di giocattoli. Forse persino di un televisore!
All’improvviso, mentre entrambi erano congestionati dentro pensieri a Matrioska, a scatole cinesi, e si muovevano per la casa con occhi straniti e fissi, le grida di Fusli cessarono. Carlo e Valeria tornarono in camera a vedere che cosa di nuovo poteva essere successo, sperando entrambi che il pupo si fosse addormentato da solo. Evidentemente il gatto aveva cambiato forma ma non gusti alimentari. Fusli aveva gattonato fino alla ciotola dei croccantini vicino alla porta del balcone e ora si ingozzava tutto soddisfatto con le manine paffute. Carlo stappò quella specie di biberon che teneva in mano e ne versò il contenuto in un piattino. Subito il bambino si chinò e lappò il latte tiepido. Valeria lo accarezzò sulla testa e disse: «Bravo Fusli», e subito dopo, «Pazzesco…»
Accese una sigaretta e si lasciò cadere in poltrona a osservare la scena. Carlo si accoccolò accanto a Fusli come per studiarlo, in silenzio, con le braccia intorno alle ginocchia. Gli tornò in mente il sogno della notte prima e si chiese: “ora sono padre?”
Anche nella mente del bambino passarono immagini di sogno. Pensò a un uccelletto inconsapevole che zampettava sul davanzale. Si mise a sedere, scrutò la notte fuori dal vetro, ma poi si voltò e zampettò fin sopra letto, che era praticamente un materasso appoggiato a terra. Abbracciò un piccolo animale di pezza che si trovava fra i cuscini, storico trofeo di Carlo vinto un’estate al luna park, e si addormentò. Quella notte dormirono in tre, con Fusli in mezzo, morbido e caldo ancora più del solito. Poi venne domenica. Si svegliarono perché il bambino piangeva. Scoprirono che faceva i suoi bisogni solo nella sabbia della lettiera. Mangiava croccantini e latte. Giocava con le mosche e le carte delle caramelle. Non strillava molto, più che altro frignettava per salire o scendere dalle ginocchia. Si lasciava prendere in braccio e coccolare oppure girava da solo a quattro zampe, indipendente come al solito. Valeria gli fece un vestitino con dei suoi vecchi indumenti e ricavò una specie di maglioncino di lana da un paio di calzerotti. Provò a insegnargli a camminare tenendolo per mano. Carlo lo infilò in uno zaino e lo portò a fare un giro in bici. Nel tardo pomeriggio il pupo dormiva, e Carlo e Valeria si trovarono davanti a un tè fumante, immersi in una tetra luce invernale.
«Che si fa? Domani è lunedì, dove lo mettiamo?»
«Se lo diamo a tua madre?»
«È un’idea, ma cosa le diciamo? Che non l’abbiamo fatto noi, lo sa… Cosa diciamo? Che l’abbiamo trovato?»
«Una persona sensata ci direbbe di portarlo all’ospedale, alla Polizia, di ritrovare sua madre…»
«Ma noi sappiamo…»
«Sì, è nostro! È il nostro gatto!»
«Era il nostro gatto…»
«Adesso è il nostro bambino…»
«Il nostro bambino clandestino.»
Si diedero la mano con tenerezza, si guardarono fissi e si baciarono.
«Sai cosa penso? Che è nato dal nostro amore, l’abbiamo trasformato noi…»
Avvicinarono le sedie, si abbracciarono, rimasero in silenzio ad aspettare che il buio fosse completo. Poi andarono a letto senza mangiare. Fusli era addormentato e respirava greve. Valeria accese la lucina come la sera prima. Si misero a guardarlo. Era bello, un cucciolo di umano. Carlo gli sfiorò la guancia con le labbra e poi la brucò lievemente. Valeria accarezzò la testa di Carlo e poi quella del bambino. Si infilarono sotto le coperte e si strinsero intorno al corpicino comprendendolo nel loro abbraccio. Fusli fece una specie di lungo sospiro. Valeria perse una lacrima dall’occhio sinistro. Carlo capì che era felice, solo in quel preciso momento, improvvisamente. Felice di quelle felicità acute, inspiegabili e fuggitive, ancora più forti nell’impossibilità di essere comprese. Si addormentarono senza voler pensare che domani sarebbe stato lunedì e tutto si sarebbe complicato all’inverosimile.
Quella notte Valeria sognò di camminare a quattro zampe in cima a un muro, di notte. Sentiva le fronde degli alberi vicini sfiorarle i fianchi. Ci vedeva benissimo e le cose avevano forme liquide. Capì di essere un gatto, anzi in qualche modo sapeva di essere una gatta nera con una lunga coda morbida. Davanti a lei, sulla cresta del muro, apparve un grosso gatto soriano con gli occhi verdi e grigi, e lunghi baffi poderosi. Istintivamente si mise a soffiare e gonfiò il pelo ma quel gattone non scappava e anzi strideva in un verso che le faceva tremare i baffi e i peli nelle orecchie. Mai, da sveglia, aveva sentito un suono così eccitante. Saltarono uno contro l’altro senza più controllo. Il sogno si fece confuso. Si rotolavano fra le foglie. Una lotta furibonda, ma senza graffi né morsi. Alla fine, il gattone soriano la stava possedendo e Valeria miagolava di piacere contro la luna. Riemergendo dal sonno, nella coscienza di Valeria rimase una consapevolezza, uno strascico di sogno insinuatosi nella realtà, che le diceva di essere rimasta incinta del gatto soriano.
Quando aprì gli occhi vide come ogni mattina Carlo addormentato al suo fianco. Come ogni mattina le bastò guardarlo qualche minuto perché anche lui aprisse gli occhi. Carlo sbirciò fra le ciglia intrecciate e vide Valeria sorridergli. Anche lui sorrise strizzando gli occhi e stirando le braccia. Allungò una mano sotto le coperte e appena toccò una gamba di Valeria saltò su a sedere. Diede uno sguardo sbarrato intorno e gridò con la voce roca: «Dov’è il bambino? Dov’è Fusli?»
Valeria si voltò di scatto. Corse a sollevare le tapparelle. Nella stanza non c’era. La porta del balcone era socchiusa. Il resto della casa vuoto. Valeria chiamò: «Fusli…»
Da dietro la poltrona di fianco al tavolo, dopo qualche secondo, fece capolino un musetto nero e peloso. Sulla gola un ciuffo di peli bianchi.
«È tornato gatto!», esclamò Carlo.
«Appena in tempo…», Valeria lo prese in braccio e lo accarezzò vigorosamente, lo abbracciò, lo baciò. Tornò a letto sempre tenendolo stretto. Carlo si lasciò ricadere sulla schiena pervaso da un incontrollabile senso di sollievo.
«Sai che c’è di strano? Mi sono appena ricordato che cosa ho sognato stanotte… Ero un gatto. Un grosso gatto grigio tigrato, come si chiamano? Soriani. Camminavo sul muro di cinta di un giardino, di notte. Incontravo un altro gatto, nero, e in qualche modo capivo che era una femmina e iniziavo a ronzare tutto. Una sensazione come di un’erezione, ma molto più sensuale, più pervasiva, più pulsante. La gatta gonfiava il pelo e mi soffiava. Poi lottavamo e rotolavamo. Alla fine, ci accoppiavamo sotto la luce della luna…»
Valeria lo fissava con occhi seri. Carlo continuò: «Certo che con tutte queste storie assurde di gatti e bambini, il subconscio rigurgita…»
«Ma è normale che abbiamo fatto lo stesso sogno?», e girandosi verso di lui sussurrò ancora, «ero io la gatta nera…»
Da come tremava, Carlo capì che era vero e restò zitto. Valeria schiacciò il viso contro il suo petto, poi lo rialzò verso di lui.
«Sai che alla fine del sogno… Mentre già mi stavo svegliando… Ho avuto la sensazione di essere rimasta incinta?» Nonostante, avesse gli occhi luccicanti, Carlo, ben deciso a non rovinarsi il senso di serenità appena riconquistato, non si prestò ad alimentare la magia del momento. Guardandola, fece un sorrisetto stirato, la baciò sulla punta del naso e si divincolò gentilmente per alzarsi.
Valeria, ancora sdraiata, stava tenendo Fusli da sotto le ascelle, in alto, a penzoloni sopra di sé. Lo girava e rigirava studiandolo da ogni angolo. Quando lo appoggiò a terra, di fianco al letto, l’animale saltò via, felice che la tortura fosse finita. Allora anche lei si alzò e si avvolse in uno scialle di lana che teneva appallottolato sulla poltrona dove poi si sedette. Rimase qualche secondo ferma a osservare Carlo che metteva insieme pantaloni e calzini, come assorta. Lui, sentendosi osservato, e forse in difetto, cercò di recuperare il discorso bofonchiando un: «Beh, se fosse, cosa ti piacerebbe? Maschietto o femminuccia?»
Valeria rispose subito, ma come una che sta già pensando a un’altra cosa. «Non mi importerebbe molto del sesso: basta che anche questo sia un gatto.»
Paolo Sus vive e lavora a Milano, dove è nato. Con l’artista Thomas Raimondi, ha realizzato il libro-zine Filosofia Barbara (2019), che contiene nove racconti; per Sartoria Utopia ha pubblicato il romanzo breve Pacifico Antico (2021). Altri suoi racconti, articoli e recensioni appaiono su blog e riviste, online e di carta, come Fumettologica, Droga Magazine, Il Foglio Clandestino e FV magazine.